CIBO SPAZZATURA ED OBESITA’

Con il termine obesità si definisce un forte sovrappeso, cioè un marcato squilibrio tra peso corporeo e altezza.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce il sovrappeso e l’obesità in base all’indice di massa corporea IMC.

Un IMC compreso tra 18,5 e 24,9 indica un peso normale, tra 25 e 29,9 un sovrappeso e un IMC di 30kg/m² o superiore un’obesità.

Il numero di persone in sovrappeso e obese è aumentato rapidamente soltanto negli ultimi anni.

Dopo che il focus dell’Organizzazione mondiale della sanità per anni si è concentrata sulla denutrizione e malnutrizione, ora la tendenza va in direzione opposta.

Secondo l’OMS nel 2014 1,9 miliardi di persone erano in sovrappeso, di cui 600 milioni gli obesi.

Attualmente, a livello globale sono gli USA ad avere la percentuale più alta di adulti in sovrappeso, seguiti dal Messico e dalla Nuova Zelanda.

L’esempio del Messico dimostra che il numero delle persone affette da obesità aumenta drasticamente anche nei paesi emergenti.

Sia nei paesi emergenti che nei paesi industrializzati esiste una correlazione negativa tra obesità e reddito, educazione e status sociale.

I tentativi per spiegare il crescente numero di persone in sovrappeso e obese puntano, tra l’altro, a un cambiamento degli stili di vita.

La vita quotidiana di molte persone è caratterizzata da attività sedentarie, poco movimento e maggiore stress nel lavoro e poco tempo libero.

La mancanza di un ritmo regolare dei pasti e la disperazione di fronte all’ideale di bellezza in voga sono altri fattori socio-culturali che possono favorire il sovrappeso.

La tendenza verso una maggiore diffusione dell’obesità è notevole.

Per molti la causa del problema è l’industria alimentare.

Al centro delle critiche si pone, tra l’altro, il “fast food”.

Il fast food ( letteralmente significa “cibo veloce”, in italiano è anche detta “ristorazione rapida”) è un tipo di ristorazione originatasi nei paesi anglosassoni, veloce da cucinare, consumare, economica e con servizio ridotto al minimo.

Il pasto costituito prevalentemente da piatti di veloce preparazione, quali hamburger, panini e patatine fritte con un basissimo valore nutrizionale.

Quest’ultimo unisce alcuni dei mali principali dell’alimentazione sbagliata come le dimensioni delle porzioni esagerate, l’eccessiva velocità del mangiare e gli alti contenuti di grassi, sale e zuccheri.

I crescenti timori relativi al “sugar is the new tobacco” hanno fatto sì che molte società pongano l’accento su una sana alimentazione.

I rischi per i produttori di alimentari ritenuti poco sani vanno però oltre le eventuali denunce da parte dei consumatori.

Esiste anche un rischio regolatorio, ad esempio, a favore di una introduzione più diffusa di tasse sul cibo spazzatura o tasse sui prodotti alimentari con un elevato contenuto di grassi o zuccheri.

Già nel 2012 la Francia ha introdotto una tassa sui “soft drink” che viene definita come imposta sulle bibite con aggiunta di zuccheri o sostanze alternative.

In genere, l’eccessivo consumo di alimenti causa pressioni sempre più forti sulle risorse naturali.

Anche in combinazione con i temi dell’allevamento industriale degli animali e del consumo di carne, l’obesità e l’alimentazione sono rilevanti per l’ambiente.

Molte malattie della “civiltà moderna” come le malattie cardiovascolari o l’ipertensione sono direttamente legate al sovrappeso.

L’obesità è inoltre un fattore di rischio per una minore produttività cognitiva e le demenze.

Le persone affette da obesità spesso vengono escluse a livello sociale e professionale.

Spesso l’obesità porta a un consumo eccessivo di farmaci, da un lato, dovuto alle diete, dall’altro, a causa del trattamento dei problemi di salute mentale.

Numerosi hanno evidenziato una correlazione tra: sovrappeso, junk food (cibo spazzatura) ed economia.

La ricerca, coordinata da Roberto De Vogli, del Dipartimento di salute pubblica dell’Università della California di Davis e pubblicato sul Bulletin of the World Health Organization, ha messo in relazione l’aumento di peso con la crescita dei Paesi industrializzati e con le politiche di libero mercato attuate dai governi.

A differenza di altri studi i ricercatori hanno considerato quante volte in un anno una persona acquista in un fast food (azioni denominate “transazioni”).

Queste Transazioni sono state messe in relazione con l’andamento medio dell’indice di massa corporeo o BMI per il periodo compreso tra il 1999 e il 2008.

I risultati sono stati molto netti: nell’arco di tempo considerato, il numero di transazioni nei 25 paesi considerati, è aumentato da 26,61 a 32,76 e, parallelamente, il BMI è passato da 25,8 a 26,6.

Tra i paesi nei quali il numero di transazioni pro capite nei fast food è aumentato maggiormente vi sono il Canada (+16,6), l’Australia (+14,7), l’Irlanda (+12,3), la Nuova Zelanda (+10,1).

«Se i governi non si decidono ad assumere al più presto provvedimenti severi – ha commento De Vogli – lasciando che il marketing continui ad agire nel silenzio, l’obesità crescerà ancora in tutto il mondo, con conseguenze disastrose tanto sulla salute quanto sulla produttività economica».

De Vogli si riferisce a tutto il mondo e non solo ai 25 paesi dello studio, poiché le stesse tendenze e le medesime politiche di marketing (anzi, in alcuni casi anche più aggressive) si stanno manifestando anche nei paesi in via di sviluppo, e sono agevolate dai trattati internazionali che promuovono il libero scambio, la globalizzazione e la deregulation commerciale.

La situazione è grave, e secondo gli autori richiede interventi specifici ovunque, con un occhio di riguardo a tutti quei paesi che stanno passando da una dieta ricca di cereali a una farcita di zuccheri, grassi e alimenti lavorati.

Tra i provvedimenti consigliati:

1. incentivi economici per tutti coloro che vendono, nei negozi e nei supermercati, alimenti freschi e sani, dando a questi più spazio rispetto a quelli lavorati, e a coloro che coltivano frutta e verdura;

2. disincentivi economici per le aziende che vendono junk food, alimenti molto lavorati e precucinati, bibite dolci e gasate e, allo stesso tempo, riduzione o eliminazione dei sussidi per le aziende che impiegano mais come mangime per gli animali per ottenere una crescita rapida o fanno un uso indiscriminato di pesticidi, fertilizzanti, antibiotici e prodotti chimici in generale;

3. politiche volte alla suddivisione delle città in zone, per verificare e tenere sotto controllo il numero e la qualità di negozi e ristoranti;

4. regolamentazione più severa della pubblicità di fast food, junk food, alimenti molto lavorati e bevande dolci, soprattutto se rivolta ai bambini;

5. regole per gli scambi commerciali volte a limitare l’importazione e il consumo di cibi cucinati e lavorati, di junk food e di soft drink;

6. miglioramento del sistema di etichettatura soprattutto per gli alimenti più lavorati, compresi quelli venduti nei fast food e le bevande gassate e zuccherate.

L’OMS ha reso noto nel Global Action Plan for the Prevention and Control of Noncommunicable Diseases 2013-2020, che uno dei nove punti prioritari è “lo stop all’aumento del diabete e dell’obesità”; in esso sono suggerite altre misure per aumentare il consumo di frutta e verdure fresche e per utilizzare tasse e incentivi per promuovere un miglioramento della qualità dell’alimentazione umana.

Se non adottiamo azioni urgenti per fermare la crescita dei tassi di obesità avremo presto più persone obese che sottonutrite nel mondo.

Le stime fornite dalla FAO ( Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazioe e l’agricoltura) indicano che 2,6 miliardi di persone sono in sovrappeso e che la prevalenza dell’obesità nella popolazione mondiale è salita dal 11,7% (2012) al 13,2% (2016).

Si tratta di un paradosso cui anche l’Italia non sfugge; nel nostro Paese 600 mila persone sono esposte a gravi insicurezze alimentari e 11,6 milioni di adulti sono obesi.

A livello globale attualmente i fast food approdano incontrastati nelle zone più povere del mondo.

Sempre più multinazionali stanno approdando massivamente in tutte le realtà economiche più povere, vendendo a poco prezzo, cibi di scarsa qualità caratterizzati da altissimi contenuti di grassi, zuccheri e sodio.

Alti contenuti calorici in porzioni abbondanti disponibili a qualunque orario del giorno e della notte.

Un’alimentazione con queste caratteristiche causa gravi danni alla salute come diabete, malattie legate all’apparato circolatorio e motorio.

Quattro milioni di morti all’anno: un incremento molto più veloce di quello che si sta verificando nelle nazioni “ricche”.

La sanità dei paesi in via di sviluppo si trova a dover fronteggiare il problema obesità assieme a quello delle malattie infettive e della malnutrizione con costi pubblici sempre più gravosi.

Più un paese è povero e privo della cultura del “mangiare sano” più le grandi catene dei fast-food sono capillari sul territorio.

Le multinazionali approdano senza grandi problemi nei paesi in via di sviluppo per via di regole praticamente inesistenti in materia e stravolgono la dieta del posto basta spesso su una cultura millenaria e su prodotti naturali coltivati localmente.

L’India è tra i paesi più colpiti dall’espansione sregolata dei ristoranti low-cost; la popolazione fa un uso smodato di junk food a basso costo con un risultato davvero preoccupante, ovvero il più alto tasso di diabete nel mondo… Cina pari merito.

In Brasile il cibo spazzatura bussa direttamente alla porta delle baraccopoli.

Alcune multinazionali hanno adottato infatti questo tipo di vendita a domicilio tra le favelas.

Carne e fritti, panini ricchi di grassi realizzati con ingredienti scadenti e bevande gasate diventano, in quelle che sono il simbolo della povertà nel sud America, una soluzione a basso prezzo per mettere insieme due pasti al giorno.

Anche l’Africa sta subendo il prezzo di cattiva alimentazione e cibo spazzatura.

I dati sono decisamente allarmanti: in Botswana sono clinicamente obese la metà delle donne ed il Sudafrica è addirittura terzo nella triste classifica dei paesi più grassi.

All’inaugurazione di una delle notissime catene di fast food 5000 persone di Città del Capo hanno dormito per strada per potersi aggiudicare la prima fila il giorno seguente.

Una passione insana, una moda scaturita dalla continua pubblicità che diffonde un finto modello di alimentazione occidentale.

La cattiva cultura alimentare in questo caso è accresciuta dal consumo esagerato di carne alla brace e diffusa dai governanti che aderiscono e diffondono il modello del “grasso è bello”.

Negli stati del sud Africa un uomo grasso è un uomo di successo, mentre l’idea che una donna magra abbia l’HIV è una credenza sempre più radicata nei ceti poveri.

E IN ITALIA?

Fino a pochi anni fa si diceva che in Italia i Fast Food non avrebbero mai aperto!

Oggi quasi 2 milioni di italiani si definiscono amanti del cibo spazzatura.

Al centro del loro rapporto con il cibo c’è la passione per alimenti come chips, fritti vari e bevande gasate.

E sono 1,2 milioni gli italiani che si autodefiniscono ingordi, persone che mangiano troppo di tutto.

Tra i più voraci ci sono gli anziani e le persone a bassa scolarità.

È quanto emerge da una ricerca del Censis che è stata presentata nel 2017 a TuttoFood, la fiera internazionale dedicata al food & beverage organizzata da Fiera Milano.

Sono dati preoccupanti su tanti italiani che consapevolmente mangiano male o mangiano troppo vi sono: cattive abitudini alimentari, che comportano un alto rischio di insorgenza di patologie e dei relativi costi per la sanità.

Nel confronto internazionale relativo al 2014, con il 10,3% di obesi l’Italia si colloca in Europa al penultimo posto (meglio di noi solo la Romania), molto al di sotto della media dei 28 Paesi (15,9%) e più ancora rispetto ai tassi di obesità di Australia (27,9%) e Stati Uniti (38,2%).

Se adottassimo il modello alimentare degli Usa, nei prossimi anni il numero di obesi potrebbe salire di oltre 15 milioni di persone, con costi sanitari e sociali aggiuntivi insostenibili.

Il segreto è nelle buone abitudini alimentari italiane, ma il rischio è nella grande diffusione delle diete ‘fai da te’.

Sono più di 10 milioni gli italiani con almeno 25 anni che seguono diete prese da libri, riviste, social network e app.

Di queste, 6,2 milioni sono donne e oltre 4 milioni uomini.

In dieci anni però gli obesi nel nostro Paese sono aumentati del 4%.

Le persone sovrappeso sono il 36,1% in Italia (+6% in dieci anni): un valore poco superiore alla media Ue (35,7%) e ai valori di Australia (35,5%) e Stati Uniti (31,9%).

Il costo sociale attuale di obesità e persone sovrappeso è stimato in 30 miliardi di euro: è quindi una priorità educare alla buona alimentazione, cioè alla buona dieta italiana.

Negli ultimi anni sono anche esplose le intolleranze alimentari, con oltre 8 milioni di italiani che dichiarano di soffrirne.

In Italia però i bambini sono le vittime più numerose di globesity.

Il trend è in crescita soprattutto tra i bambini alimentati troppo, male, e relegati a dover fare movimento spesso solo al chiuso e unicamente nei momenti prestabiliti dagli adulti.

In molti casi anche in Italia si ricorre ai cibi meno salutari in quanto meno costosi.

Il cambiamento degli stili di vita delle popolazioni di tutto il mondo, l’eccessiva pubblicità e l’ideologia che viene creata dietro al cibo spazzatura, sono fattori che stanno incrementando sempre di più il consumo di cibi a basso costo.

Non una risoluzione della fame però: nonostante le porzioni siano abbondanti, i cibi sono realizzati con materie prime scadenti, grasse, carenti di vitamine, fibre, minerali e nutrienti necessari per mantenere il corpo in salute.

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